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Carlo
Cocchia - presentazione |
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Il Costruttore
Carlo Cocchia è stato innanzitutto un <<costruttore>> ed alle sue opere funzionali, solide ed eleganti ben si addice la triade vitruviana di utilitas, firmitas e venustas. Professionista intelligente e colto, docente rassicurante, praticava una didattica e un mestiere all’insegna del fare insieme. Non gli apparteneva lo scatto eversivo o la sperimentazione d’avanguardia per il solo gusto della novità. Nella trascorsa ed intensa esperienza futurista aveva speso ogni residua volontà di eversione. Lavorava su materiali storici e storiografici certi, trascurava ciò che non era verificabile, rifuggiva dalla retorica. I suoi scritti appartengono più alla tipologia delle relazioni tecniche che del racconto storico. E’ stato tra gli epigoni più autorevoli d’un lavoro progettuale inteso come ricerca paziente, come controllo dell’intero processo che dal progetto conduce alla realizzazione, come prolungamento delle ragioni della cultura nelle ragioni del mondo dell’imprenditoria e del cantiere. Proprio in tal senso egli è stato, appunto, un costruttore.
Gli esordi risalgono alla fine degli anni Trenta con i ristoranti, la piscina, le serre e la fontana dell’Esedra nella Mostra d’Oltremare. La lezione del razionalismo tedesco ed olandese è evidente ed i suoi edifici istituiscono un istruttivo confronto con la prevalente serie dei padiglioni storicisti ed esotici della rassegna. Cocchia vive a Napoli ma guarda alla Lombardia di Terragni e Pagano, all’Europa dei Gropius e dei Mies van der Rohe. I temi compositivi con cui si confronta nella Mostra non hanno una forte carica ideologica e dunque egli riesce ad esprimere una figuratività nuova, probabilmente più avanzata di quanto gli dettasse la sua stessa formazione. Nel Palazzo dell’Arte a Cremona del 1941 infatti, la più evidente cifra ideologica del tema lo conduce ad alcune soluzioni in sospetto di accademia; di qualità tecnologica e compositiva appare tuttavia l’uso del mattone “faccia vista”.
La fase degli esordi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale si chiude nel segno d’una comprensibile oscillazione del gusto. Questa è la condizione di una intera generazione di giovani architetti cresciuti tra l’insegnamento accademico nelle facoltà e gli echi dei nuovi contenuti del dibattito internazionale che giungono attraverso le riviste straniere.
Dagli anni Cinquanta in poi, la ripresa avviene da protagonista e lo vede impegnato sul triplice fronte dell’insegnamento, della professione e del dibattito politico-culturale alimentato dai temi della ricostruzione post-bellica. I quartieri di edilizia economica e popolare vengono realizzati con inaspettata solerzia rispetto ai tempi che segnano la ripresa dell’attività edilizia privata. Dal quartiere a Barra del 1949 a quello di Secondigliano del 1957, i progetti di Cocchia tentano una mediazione tra i due opposti modelli del rigoroso razional-funzionalismo di Luigi Cosenza e del neorealismo organicista dei gruppi romani del Soccavo-Canzanella e de La Loggetta di Giulio De Luca.
Ma è nell’ambito delle grandi opere pubbliche che si afferma con maggiore evidenza la sua opera di professionista di talento e di sicura affidabilità: dallo stadio San Paolo alla Stazione Centrale alla Facoltà di Medicina e Chirurgia alle Nuove Terme di Castellammare di Stabia. Opere di gruppo ma nelle quali il ruolo ed il contributo di Cocchia sono ravvisabili con tutta evidenza.
Sarebbe inutile tentare una lettura del complesso della sua produzione alla ricerca di una periodizzazione stilistica, di fasi tra loro correlate ma dissimili. Cocchia è stato sempre fedele ad un linguaggio di marca razionalista e di alto profilo qualitativo, dapprima attento a recepire negli anni Cinquanta le suggestioni meno vernacolari del neorealismo e poi in seguito ad applicare gli esiti più certi e collaudati della sperimentazione sulle nuove tecnologie e sui nuovi materiali. Emblematica è in tale direzione la sede del Centro Elettronico del Banco di Napoli a Fuorigrotta.
Docente nella Facoltà di Architettura di Napoli per quasi trent’anni e per un triennio al Politecnico di Milano, Cocchia non ha mai separato l’impegno didattico da quello di studioso, soprattutto dei problemi di Napoli dei quali è stato un osservatore non convenzionale. Il saggio sull’Edilizia a Napoli dal 1918 al 1958 resta ancor oggi un testo di riferimento importante per ogni documentata ricognizione sulla storia urbanistica del Novecento a Napoli. Parimenti efficace è stato il ruolo di denunzia che ha svolto come membro dell’INU fin dalla sua partecipazione al congresso nazionale del 1949 in qualità di relatore ufficiale.
La precoce milizia artistica espressa nell’ambito del futurismo, l’attività professionale, il magistero esercitato come docente, l’attività di studioso, l’impegno politico-culturale espresso attraverso la pubblicistica e il lavoro nelle istituzioni: è difficile separare in modo netto le tante personalità che sono state presenti in Carlo Cocchia. Per gli allievi che lo hanno avuto come maestro resterà forse la sua figura di docente; per gli studiosi, emergerà il Cocchia autore di lucide analisi riccamente documentate; alla storia dell’architettura del Novecento a Napoli consegna alcune opere – come quelle della Mostra d’Oltremare, ad esempio – che possono a buon diritto rientrare in una antologia del Novecento italiano. |
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